Intervista di Laura di Corcia a Diego Fasolis febbraio 2018

Intervista di Laura di Corcia a Diego Fasolis. febbraio 2018

 

1.     Andiamo per un momento alla sua infanzia: quando ha capito che voleva occuparsi di musica?

Provenendo da una famiglia di musicisti e persone dotate per la Musica ho questa passione nel sangue ma ricordo un particolare di una lezione di educazione musicale in prima elementare dove abbiamo con i bambini cantato un piccolo canone a due voci. L’emozione è stata fortissima e da quel momento la passione per la combinazione delle voci non mi ha mai abbandonato.

 

2.     Fare musica comporta studio e dedizione. Nel suo caso, quali sono stati i sacrifici più importanti?

Mi rendo conto ora di aver avuto ben pochi momenti di “vacanza” o di “ozio”. Ho passato ore, giorni, anni e decenni piegato sulle partiture e sugli strumenti perdendo quel senso di libertà e leggerezza che ogni tanto deve esserci e che spero di poter godere nel mio vicinissimo pensionamento.

 

3.     Come mai ha scelto l’organo?

Quando sentivo l’organo nella chiesa di Pazzalino ero estasiato e appena possibile ho cercato di suonarlo. Ero un bambino e per arrivare ai pedali dovevo suonare in piedi su di essi. Ho un legame molto forte con la musica di J.S.Bach e ho seguito la sua strada da organista a maestro di cappella (nel mio caso una cappella musicale laica come la RSI ma sempre tale).

 

4.     Ha girato parecchie città per studiare e fare musica, ma qual è quella che le è rimasta più nel cuore?

Sono stato per anni a Zurigo che ho imparato solo recentemente ad apprezzare. Parigi la frequentavo strettamente per gli studi di organo e improvvisazione ma da molti anni sono anche invitato a dirigere con i miei complessi. Una seconda casa, e mi è capitato che le persone mi chiedessero di firmare autografi persino nel metrò. Anche di Cremona e Vienna ho bei ricordi e solide relazioni di amicizia con i miei venerati maestri Jürg Von Vintschger e Michael Radulescu.

 

5.     Quest’anno si festeggiano i 50 anni dal ’68. Lei all’epoca era ancora bambino, ma come ricorda quel fermento? E quanto la sua giovinezza è stata impregnata di quell’atmosfera?

Mio Padre Ugo Fasolis era all’epoca professore al liceo di Lugano e ho vissuto il ’68 come un dramma famigliare. La mancanza di rispetto per l’autorità professorale ferì e costrinse mio padre a cambiare attività rinunciando a quella che per lui era una missione. Devo dire che gli entusiasmi del ’68 si sono affievoliti e oggi possiamo vedere le macerie di un vecchio regime che andava riformato senza scorgere la nuova costruzione. Dall’idealismo al qualunquismo.

 

6.     Lavora da tanti anni con la voce, insieme alla voce. Che cosa ha capito di questo strumento?

È lo strumento più straordinario e fragile di tutti. Mette a nudo l’umanità e la sensibilità dell’interprete e più di qualsiasi altro collega il cuore con l’ascoltatore. Uno strumento delicato che richiede uno studio continuo, calibrato e intelligente. Molto complesso, viene spesso bistrattato e vede nel mondo pochi grandi e illuminati maestri. Ho avuto la fortuna di conoscerne una nella persona di Carol Smith. La mia riconoscenza nei suoi confronti è immensa. Mi permette di parlare ai più grandi cantanti del mondo, da Cecilia Bartoli a Placido Domingo fino a un coro di bambini, con utile cognizione di causa.

 

7.     Ci saranno mille risposte a questa domanda, ma le chiedo di darmi la prima, la più istintiva: perché fa musica?

Perché, citando Nietzsche, “senza Musica la vita sarebbe un errore”. È l’unico linguaggio veramente universale, stimolo positivo per attivare e armonizzare i nostri chakra e filo diretto con il mondo spirituale e una saggezza inesprimibile a parole.

 

8.     Qual è stata la sua più grande soddisfazione?

Ne ho avute e ne ho moltissime. Poter affrontare e proporre ai musicisti e cantanti le partiture meravigliose che mi arrivano nelle mani è una gioia continua. Ultimamente essere chiamato dal compianto Maestro Nicholaus Harnoncourt per dirigere al suo posto la IX di Beethoven tre sere di fila nella sala dorata del Musikverein a Vienna con la sua orchestra mi ha commosso moltissimo.

 

9.     E il suo più grande rammarico?

Tralasciando i veri grandi insuperabili dolori come la perdita di mia moglie Adriana e per restare a cosine di basso profilo ma spiacevoli abbiamo un Paese che non sa o non vuole riconoscere e valorizzare i suoi talenti nemmeno quando sono richiesti e apprezzati ovunque all’estero. L’esclusione dall’inaugurazione del LAC dopo tanti anni di proposte e soluzioni di avvicinamento mi ha un po’ intristito. “Nemo Propheta in Patria” è una spiacevole verità. Per fortuna il mondo è grande e le opportunità infinite per tutti. I maggiori teatri del mondo dalla Scala all’Opera di Berlino, dal Theatre des Champs Elisées al Metropolitan di N.Y. desiderano lavorare con I Barocchisti e Fasolis. Non smetto di essere disponibile e resto fiducioso sulla possibilità che le cose prendano il verso giusto anche per la cultura locale.

 

10. Se non avesse fatto il musicista, cosa avrebbe fatto?

Avevo da ragazzo una passione per i motori e la meccanica.

Avrei fatto il garagista e commerciante di automobili (ora elettriche o almeno ibride) ma la passione per la Musica era molto più grande!